Signor Presidente, Onorevoli colleghi

La Regione ha 40 anni.

E’ un tempo breve per scriverne la storia, ma abbastanza lungo per fare un consuntivo. Non di carattere partitico ma,  piuttosto, sotto il profilo istituzionale, per cercare di capire cosa non ha funzionato e per individuare cosa si può fare, affinchè l’Ente possa rispondere di più e meglio alle istanze dei cittadini.

Volendo sintetizzare al massimo il consuntivo, si potrebbe dire che la Regione ha prodotto qualche luce, ma anche molte ombre.

Certo, cose buone sono state fatte: volendo portare gli esempi più significativi mi sembra di poter annoverare fra i successi il Sistema Universitario Calabrese ed il Porto di Gioia Tauro.

Le Università hanno contribuito a far crescere, nell’insieme, il livello culturale dei calabresi ed hanno consentito a molti giovani, di ogni estrazione sociale, di conseguire una laurea; mentre il Porto di Gioia Tauro può fare della nostra Regione la Porta d’Oriente dell’Europa, con evidenti positive ricadute sull’economia regionale. E, non si può negare, inoltre, che grandi, medie e piccole infrastrutture, realizzate in questo quarantennio, hanno risolto basilari problemi di civiltà e rotto l’isolamento di tante comunità locali ed, in parte, dell’intera Regione.

Epperò, bisogna ricordare che in settori importanti come la Sanità, i Trasporti e l’Ambiente, interamente affidati alle competenze regionali, la Regione Calabria in questi 4 decenni non ha dato buona prova di sé; è, infatti, a tutti evidente il collasso del nostro sistema sanitario e la selvaggia aggressione della speculazione in danno del nostro territorio  e del suo splendido paesaggio. E’ mancato un progetto di Sviluppo della Regione, anche attraverso l’efficace utilizzo dei Fondi Strutturali Europei, settore nel quale, solo negli ultimi anni, si è assistito ad un lodevole tentativo di cambiare rotta. C’è da dire, inoltre, che la Calabria, unitamente alle altre Regioni del Mezzogiorno, non è stata in grado di sostenere il confronto politico con lo Stato Centrale, che ha evidenziato e continua ad evidenziare una preoccupante incapacità di dotare il territorio calabrese delle grandi infrastrutture di sua competenza, per non parlare del comparto della sicurezza, che vede vaste aree insidiate dalla presenza della delinquenza organizzata; e non v’è dubbio che carenze infrastrutturali e mancanza di sicurezza allontanano dalla Calabria iniziative produttive ed investimenti. Spesso le inefficienze regionali sono state utilizzate dallo Stato centrale per giustificare la sua assenza nei settori di sua esclusiva competenza.

In questa occasione, non è pensabile essere analitici e propositivi su quanto sopra evidenziato.

Epperò è possibile una breve analisi, per poter adombrare iniziative e rimedi di carattere istituzionale licenziabili nella legislatura appena iniziata.

La Calabria non è mai stata una Regione unita, nel senso che mai è stata pervasa da un comune sentire. Piuttosto che alla Calabria, ci siamo trovati, e forse ci troviamo ancora, di fronte “ alle Calabrie”, così come può leggersi sui “cippi” tuttora esistenti sul vecchio tracciato, di origine borbonica, della Strada Statale 19.

Lo stesso atto di nascita dell’Ente Regione è avvenuto in presenza del potente ruggito del mostro rappresentato dalla divisione in “Calabrie”, di cui i “moti di Reggio” sono stati l’emblema, con tutto ciò che in quei tragici mesi del 1970 è avvenuto.

Il modello organizzativo che l’Ente Regione si è dato ha finito per accentuare le divisioni ed ha impedito, fatte salve poche e virtuose eccezioni, l’adozione di provvedimenti di programmazione e di indirizzo di carattere generale.

La Regione centralista, piccolo stato Hag, è stata deficitaria  nell’espletare le funzioni di legiferazioni, di programmazione, di indirizzo e di controllo, assegnatele dalla Costituzione, mentre, avendo trattenuto tutti i poteri di natura gestionale, ha determinato una forma di competizione tra i territori per l’appropriazione delle risorse disponibili.

E non v’è dubbio che quanto sopra evidenziato è stato aggravato dalla elezione dei Consiglieri Regionali su base provinciale.

Questo stato di cose, già manifestatosi nel periodo in cui il modello Istituzionale è stato di tipo Assembleare, si è accentuato allorchè il modello Istituzionale è diventato di tipo Presidenziale.

Ciò che è cambiato, pertanto, non  è tanto il modo di fare politica e di gestire il potere, quanto la sua concentrazione in una sola figura istituzionale;  se, infatti, il sistema, pur se immutato negli stili di governo, ha generato una maggiore stabilità, questa si è ottenuta pagando pesanti prezzi nel funzionamento del gioco democratico. Certo dipende anche dalle persone; ma il modo di interpretare un ruolo così delicato non può essere affidato solo alle qualità personali.

La legislatura, che è appena al suo inizio, deve affrontare queste questioni e questa assemblea deve interrogarsi su che fare.

Deve chiedersi il Consiglio Regionale se una Regione più leggera, che limiti le proprie competenze gestorie alle materie che, per loro natura, o per assicurare una uniformità di trattamento, sono di competenza regionale, una Regione che, quindi, concentra il suo lavoro in un’ attività di legiferazione, di programmazione, di indirizzo, può essere di aiuto a trasformare le “Calabrie” in Calabria. Ciò è ancora di più necessario in prospettiva del federalismo.

In uno scenario di questo tipo sarebbe forse possibile avere un presidenzialismo di tipo temperato, giacchè ad una Regione leggera non servirebbe essere guidata da un monarca elettivo.

Nel ringraziarla Signor Presidente, per avermi concesso la parola, nel breve tempo assegnato mi sono sforzato di produrre una breve riflessione su questi 40 anni di regionalismo che possa essere utile per il futuro.

* Capogruppo Pd

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