La crisi globale del sistema finanziario ed economico ci interroga e ci sprona a riflettere per provare anche noi, nel nostro piccolo, a riposizionarci rispetto al futuro; anche noi, cittadini italiani e calabresi. La provocazione,
per noi, che diventa sfida per le classi dirigenti della Calabria, arriva portata dal vento della crisi,dalle emergenze vecchie e nuove che la nostra terra si trascina dietro da tempo, da una condizione della società e dell’economia che deve farci scrupolo: non possiamo lasciare ai nostri figli questa pesante e fallimentare eredità,
sicuramente peggiore di quella ricevuta dai nostri padri.
E’ vero che la seconda guerra mondiale ha lasciato per terra lutti e rovine, a diverse latitudinie longitudini, ma è anche vero che da quell’immane disastro, Stati e popoli, Italia ed italiani fra questi,sono usciti con la forza di valori,idee, progetti e speranze, sicché i successivi sessant’anni, con l’eccezione di focolai di guerra regionali, sono stati anni di pace,sviluppo, democrazia e benessere;anche se non per tutti e non a tutte le latitudini.
C’è sempre un limite nelle cose umane, è vero! E non potrebbe non essere così. Ma la primagenerazione del dopoguerra, in Italia, nel nostro paese, ha avuto la grande opportunità di crescere ed è cresciuta, scommettendosi
sul sapere, sulla scuola per tutti,sull’Università aperta a tutti. E’stato così che tanti figli di contadini,
di operai, di piccoli artigiani e persone semplici, hanno lasciato le campagne, le fabbriche, i territori delle aree interne, per scommettersi e conquistare un futuro diverso e migliore.
Quella generazione vinse la scommessa e tutti ebbero l’opportunità di disegnare il proprio futuro e di arrivare alla méta. Quella generazione,oggi, ha varcato la soglia della pensione e costituisce ancora il nerbo della società, se è vero che col suo “salario differito”,specialmente al Sud, costituisce il vero ammortizzatore sociale che evita la “rivoluzione” e consente ai governanti di beneficiare di una “riserva virtuosa” costituita dalle quote di risparmio accumulate e dall’accresciuto patrimonio delle famiglie.
Le generazioni successive, però,cui è stata consegnata una società democratica e progredita, ispirata ed aderente ai valori contenuti nella Carta Costituzionale,forse perché affrancate dal bisogno,sono state progressivamente ma inesorabilmente attratte dagli “ozi di Capua”, come accadde ad Annibale all’epoca delle guerre puniche, che vi consumò la sua grande impresa, infrangendo il suo sogno di gloria.
Tornando alla nostra analisi, forse il lento ricambio della classe politica, forse la involuzione del sistema democratico ed il suo progressivo avviarsi verso la crisi, di certo i mali antichi della società umana (la corruzione, il potere,la bramosia dell’avere che soverchia l’essere, il superfluo, le organizzazioni criminali e la presenza dei poteri forti generati dalla società stessa) hanno congiurato perché tutto si deteriorasse e le
stesse conquiste sociali e civili divenissero fuochi fatui, quasi a segnalare la caducità delle cose di questo mondo, che pur volendo fortemente la pace, talvolta, ancora,non trova modo migliore per conquistarla che quello di preparare la guerra (“si vis pacem para bellum”).
E’ stato così che inseguendo la globalizzazione, come facile chimera risolutrice di tutti i mali e di tutte le povertà dell’uomo e della terra, inseguendo lo sviluppo senza limiti, siamo finiti in bocca ai “mutui subprime” una invenzione finanziaria targata USA che ha generato il collasso del sistema finanziario mondiale e che sta per abbattersi, ora, sul sistema economico globale. Facili Cassandre? Ce lo possiamo soltanto augurare, ma non è così.
Non è così perché la politica non è più in grado di governare la terra con onestà, senno e buon senso.
La crisi non è solo finanziaria ed economica; c’è una crisi più profonda, che attiene la qualità degli uomini, dei politici prima di tutti, ma non solo, in verità. E’ la società che si è ammalata e trasmette a tutte le sue componenti i virus della malattia. Se lo dicessimo soltanto noi, sarebbe ben poca cosa e del tutto trascurabile.
Ma lo dicono i cittadini, che vivono una condizione sempre più preoccupata (il CENSIS nel suo rapporto annuale parla di “un paese in preda al panico”), che vivono immersi nel timore di non potere provvedere ai bisogni elementari delle famiglie (lavoro, casa, scuola,sanità, sicurezza,rifiuti…insomma futuro). Lo registrano le informazioni sulla crescita della delinquenza comune ed organizzata, gli scippi, i furti, le rapine, la corruzione che dilaga, il malaffare, la criminalità organizzata.
Lo hanno sostenuto, con la sensibilità ed autorevolezza che li distingue e dall’alto del Magistero che esercitano, Papa Benedetto XVI° a Cagliari, qualche mese fa (“C’è necessità di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di ricercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile”) e di recente a Napoli, il Capo dello Stato, (“dobbiamo reagire contro l’impoverimento culturale e morale della politica”).
Lo registrano le cronache quotidiane, quando segnalano alla nostra attenzione problemi e difficoltà nuovi nella stessa Magistratura italiana (processi “Poseidone” e “Why Not”).
Sì, c’è proprio un convincimento diffuso che la politica sia malata e che tarda a recuperare l’autorità morale per governare il paese e progettare il futuro sperato dalle nuove generazioni.
Cosa bisogna fare, come occorre agire di fronte ad un sistema che appare disorientato, che non si scuote, che viaggia quasi inconsapevole, verso la microfrantumazione degli interessi ed una pratica di laisser faire o deregulation,che ne compromettono il governo?
Mentre Organizzazioni internazionali, Stati, Governi e popoli, a livello globale, provano a costruire una risposta, anche noi, italiani e calabresi, dobbiamo cercarla dentro di noi: a ciascuno l’esercizio delle spettanti responsabilità.
Forse occorre fermarsi e considerare il cammino percorso, dall’avvento virtuoso della Repubblica, per vedere dove abbiamo sbagliato e ripartire, evitando gli errori commessi e facendo salvi i valori fondamentali che ci hanno accompagnati e che la Carta Costituzionale in maniera mirabile definisce. Occorre provare a ripartire.
Ci sono due momenti nella storia d’Italia degli ultimi sessant’anni,ai quali occorrerebbe riandare,consapevoli della profondità di questa crisi epocale.
Il primo, risale al 1972, e riguarda proprio il I° Rapporto del M.I.T. (Massachusetts Institute of Tecnology): “The limits to Growth” (“I limiti dello sviluppo”),commissionato dal Club di Roma. Per la prima volta, dopo la corsa fiduciosa e suicida verso lo sviluppo “senza confini” venne lanciato l’allarme:“Nell’ipotesi che l’attuale linea di sviluppo continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione,indust ri alizzazione,inquinamento,produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l’umanità è destinata a raggiungere
i limiti naturali dello sviluppo entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso,incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale”. Il rapporto pubblicato nel 972, fu il primo studio scientifico che documentava l’insorgere della “questione ambientale in termini globali”.
Il secondo risale al 1978 e segna lo spartiacque netto tra due fasi diverse della vita politica italiana. Si tratta dell’assassinio,per mano delle Brigate Rosse, di Aldo Moro (Roma, 9 maggio 1978). Questo efferato delitto ha segnalato l’inizio inesorabile della perdita della dimensione culturale e morale della politica, divenuta, progressivamente,gestione pragmatica degli interessi, sempre più spesso degli interessi particolari e privati.
La morte di Enrico Berlinguer (Padova 11 giugno 1984), segna il passaggio definitivo ad una nuova fase della vita politica italiana.
Dunque sono gli uomini a fare la storia? Con le loro “bisacce”? Come non riconoscerlo?
E perciò la crisi è nella società e lì va a f f r o n t a t a,partendo dalla base, rintracciando,ritrovando e praticando la virtù (“honeste vivere, alterum non laedere,suum cuique tribuere),la professionalità,la competenza, a solidarietà tra le generazioni,il buonsenso,che devono tornare ad albergare nel cuore e nella mente di chi a la responsabilità di guidare i processi di crescita della società.
E’ urgente introdurre questa riflessione tra le nuove generazioni,perché ne facciano tesoro e si preparino ad esercitare le loro responsabilità. Se è vero, come preconizza il rapporto CENSIS,che il Paese, cogliendo l’occasione ella crisi, può provare a realizzare la “seconda metamorfosi”,i protagonisti di questo cambiamento non potranno non essere loro: i giovani.