L’Energia: la forza che muove l’economia e condiziona la storia dei popoli

di Stefano A. Priolo

 

Il tempo che stiamo vivendo, per quanto riguarda la scena internazionale, è dominato da due eventi che arrivano ogni giorno nelle nostre case, originando paure e ponendoci interrogativi che, a ben vedere, interessano l’intera umanità. Fukushima nel lontano Giappone ed il bacino del Mediterraneo, del quale noi siamo parte integrante,
sono divenuti i luoghi geografici che dominano la ribalta dell’interesse mondiale.
Nell’era della globalizzazione, dunque anche della comunicazione globale, nulla ci è più sconosciuto e risparmiato della vita dei popoli, anche di quelli meno importanti nella concitata vita del pianeta o lontani da noi migliaia e migliaia di chilometri. Il nostro occhio e la nostra mente possono spaziare, perciò, sull’intero villaggio globale, costituito dal pianeta terra. E pensare che appena 70 anni fa (meno della durata media della nostra vita), per andare in America col piroscafo occorrevano 30 e passa giorni e a Fukushima, il luogo di un disastro dalle proporzioni ancora incalcolabili (i morti hanno superato la soglia di 26.000), non si poteva arrivare in nessun modo.

Di fronte a questi sconvolgimenti che attraversano l’umanità, con le grandi tragedie e le rilevanti distruzioni che essi portano con sé, quanto sembrano piccoli i nostri problemi e quanto insignificanti le nostre relazioni interne, anche se essi sono importanti per noi, tanto importanti da assorbire molto del nostro tempo e della nostra sensibile riflessione. Per renderci esattamente conto del divario di condizione che in questo passaggio della storia ci separa dalle grandi sofferenze del nostro tempo, basta considerare i due termini da mettere a confronto. Da un lato noi, alle prese con i problemi italiani, che certo non mancano (quello dell’accoglienza dei profughi in fuga dalla sponda sud del Mediterraneo ci ha trovati terribilmente impreparati ed incapaci di prestare almeno il doveroso soccorso umanitario), dall’altro lato la moltitudine in rivolta dei “senza libertà” nel bacino del Mediterraneo, unita alla tragedia di un intero popolo (quello giapponese), per la seconda volta nella sua storia colpito da un disastro nucleare: la prima volta come conseguenza della guerra – chi ha dimenticato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki? – la seconda causata da un evento naturale e dall’imprevidenza dell’uomo, manifestatisi attraverso un terremoto di rilevante portata con conseguente tsunami e l’irreparabile danno recato alla centrale elettronucleare di Fukushima.
Ma cos’è che mette in moto ed origina tanti problemi all’uomo del nostro tempo? Che nega o toglie ad esso la possibilità, la opportunità, la gioia di vivere una vita diversa? Di vivere in pace, di vivere considerandosi l’un l’altro con pari dignità e pari diritti e doveri? Di essere pacificamente tutti uguali indipendentemente dalla razza di appartenenza, dal colore della pelle, dalla diversità della lingua o della religione? Sono gli interrogativi di ogni tempo che hanno caratterizzato l’esistenza umana sulla terra, ma che non trovano una risposta che risulti immutabile nel tempo e nella storia. Ciascuno, a suo modo, si interroga e cerca la sua risposta, una risposta che non sempre arriva nell’arco di una intera vita. E’ stato così e così continuerà ad essere. Ed accade così anche per gli Stati, i Governi, le democrazie, le dittature, i popoli, le Comunità, le Tribù. Non è dato a noi svelare il mistero della vita.
A noi è possibile vivere quella che ci è stata donata, sforzandoci quanto più possibile di capire e di provare a valorizzarla nel rapporto con gli altri, con i sofferenti, con i diseredati, con i potenti ed i prepotenti, con i “progrediti” e con chi il progresso lo cerca; con i liberi e con coloro cui la libertà è negata; col dolore e la gioia che, sempre noi, con le nostre azioni, riusciamo a procurarci.
Tanti uomini dotati di intelligenza e fortificati dalla sapienza, tanti Santi, tanti filosofi, tanti scienziati, hanno cercato di permeare l’arcano mistero della vita e del pensiero dell’uomo, ma la ricerca della verità e del modo di vivere la vita appartiene a ciascuno, prima che a tutti; dunque, non c’è, casomai si trovi, una risposta sola; le risposte sono tante e sono quelle che ciascuno, con le sue virtù ed i suoi limiti, riesce ad individuare,
facendosene una ragione. Se pensiamo a Giovan Battista Vico – il filosofo, storico e giurista italiano che insegnò eloquenza e retorica all’Università di Napoli, il cui pensiero venne rivalutato nel XX secolo da Benedetto Croce – l’unica verità che può essere conosciuta consiste nei risultati dell’azione creatrice dell’uomo; dunque, la storia è prima di tutto nelle menti di tutti i suoi artefici e poi nella realtà che abbiamo davanti. Essa, perciò,
non è costituita da un divenire caratterizzato costantemente da un autentico progresso, ma al contrario, il divenire è sempre la risultante di un eterno ritorno di cicli sempre uguali (i corsi e ricorsi storici), non intesi, tuttavia, come storia che si ripete, ma soltanto come epoche diverse che si alternano e talvolta ritornano. Ciò che si presenta di nuovo nella storia è solo paragonabile per analogia a ciò che si è già manifestato. Così, ad esempio, ad epoche di civiltà si possono succedere epoche di “ritornata barbarie”, ad epoche nelle quali più forte è il senso per una determinata categoria di problemi, se ne possono succedere altre nelle quali si sviluppa maggiormente un altro senso per una categoria diversa. Ed ancora: ad epoche di pace possono seguire epoche di guerra; ad epoche di dittatura epoche di democrazia; ad epoche democratiche fondate sulla tripartizione ed equilibrio dei poteri (Montesquieu) e la partecipazione responsabile, con elezione dei rappresentanti del popolo
mediante suffragio universale, diretto e riparto proporzionale della rappresentanza ad altre forme democratiche, dove prevalga l’idea del Presidenzialismo o, magari, il riparto della rappresentanza avviene col sistema maggioritario (premio di maggioranza). Il sistema politico democratico, nelle sue diverse forme, per esempio, è quello che ha caratterizzato, dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa Occidentale, garantendo, al suo interno, un lungo periodo di pace, dopo ben due guerre mondiali.
Ragionando di problemi del nostro tempo, possiamo allora provare a discernere se questa epoca ha analogie nella storia passata e quali, ed aiutarci a leggere nella storia del passato possibili insegnamenti per il presente. Ogni epoca ha i suoi crucci, le sue spiccate sensibilità, quelle che danno una impronta al senso della vita, per come vissuta.
La domanda allora è: quale insegnamento ci viene dalla storia di questi tempi e quali sono gli ammaestramenti che da essa possiamo trarne?
Se a questa domanda dovessimo dare una risposta hic et nunc, qui ed ora, cosa potremmo dire?
Potremmo dire che la storia che il 2011 ci propone è quella che abbiamo richiamato all’inizio di questa riflessione: la rivolta, anzitutto, sulle rive del Mediterraneo, dei “senza libertà”, contro dittature che da decenni opprimono interi popoli, privandoli della loro dignità e costringendoli a vivere nella miseria, malgrado le ingenti ricchezze possedute, rappresentate dalle risorse del sottosuolo. Si tratta di rivolte spontaneamente promosse da giovani generazionidi popoli nuovi in certo senso, che mettono in crisi assetti territoriali e potere statuale, destinate ad incidere anche sui meccanismi di utilizzo delle risorse naturali.
Alla rivendicata libertà non è del tutto estraneo il problema che riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali, che poiché appartengono al territorio, dovrebbero essere utilizzate a far star meglio le popolazioni che lo abitano; ma sappiamo che nei paesi interessati dalla forte protesta popolare non è stato così per 30, 40 o più anni. La ricchezza scoperta ed utilizzata, valorizzando le risorse del sottosuolo (il petrolio), è servita soprattutto, nella generalità dei casi, se non esclusivamente, al dittatore ed alla sua dinastia, al suo esercito, al suo potere, al suo prestigio, per opprimere i sudditi, negando ad essi non solo la partecipazione alla equa distribuzione delle risorse, ma anche e prima di ogni altra cosa, qualsiasi diritto di cittadinanza: dal riconoscimento dei diritti umani alla uguaglianza di tutti i cittadini rispetto allo Stato, alla parità dei sessi, alle pari opportunità per tutti. In una situazione di questo tipo, come è accaduto spesso nella storia degli uomini, basta una scintilla a provocare una rivolta e, a cascata, per l’effetto domino, il propagarsi dell’incendio.
La storia della dittatura è tristemente nota anche a noi italiani; la nostra sensibilità dovrebbe avvertirci e ricordarci che l’anelito alla libertà e la voglia di liberazione sono sentimenti così radicati nel cuore dell’uomo che per conseguirli, i popoli sono pronti a sacrificare la loro vita. Perché non comprendere, dunque, la storia dei popoli dell’Area Mediterranea, che oggi si ribellano? Dalla Tunisia, all’Egitto, alla Libia ed ancora dallo Yemen, alla Giordania, alla Siria, al Bahrein, si tratta di Paesi tutti importanti produttori di petrolio, la fonte energetica maggiormente utilizzata sulla Terra per produrre energia, la forza, lo sappiamo tutti, che muove e sviluppa l’economia e che condiziona la vita dei popoli. L’Occidente, l’Unione Europea, la Comunità Internazionale, più che considerare, condividere e sostenere, con generosità e solidarietà concreta, la rivolta dei “senza libertà” e forse senza speranza, sembrano preoccupati di badare agli interessi nazionali, una storia che ritorna ogni volta che una paura si agita all’orizzonte e che asseconda gli egoismi più retrivi ed esasperati, che nella storia dell’uomo hanno sempre prodotto guasti, lutti e rovine.
A ben vedere, il nostro tempo è caratterizzato anche dalla ribellione della natura, che prova a ricordarci, con dirompenti cataclismi, le responsabilità dell’uomo che ne mettono in crisi l’esistenza. Negli ultimi decenni, a fronte di una cresciuta sensibilità umana per il rispetto dell’ambiente, sono falliti, o quantomeno sono risultati del tutto insufficienti rispetto agli obiettivi programmati, i risultati ottenuti dalla Comunità Internazionale a livello planetario, per la riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, indispensabile per evitare catastrofi naturali.
Più volte le Conferenze periodiche organizzate a livello mondiale hanno delineato obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti, ma, sistematicamente, le rilevazioni della condizione dell’atmosfera hanno evidenziato un progressivo aggravarsi della situazione.
La volontà manifestata a più riprese è stata sacrificata sull’altare delle logiche economiche ed a discapito della condizione dell’ambiente. Il terremoto in Giappone, con il successivo tsnumani che si è riversato sulla costa orientale dell’isola con violenza e potenza inaudita, ha irrimediabilmente danneggiato la centrale nucleare di Fukushima (6 reattori nucleari), costruita, come altre, in un’area considerata fortemente tellurica. Le tragiche conseguenze di questa catastrofe naturale sono sotto gli occhi di tutti, il mondo intero le ha già percepite e non sono ancora finite, anzi, come l’esperienza tristemente insegna, si prolungheranno con virulenza sul futuro prossimo a danno sia delle persone che dell’ambiente. Il disastro ambientale di Fukushima, dunque, non è soltanto un castigo della natura, ma ad esso si accoppia la grande imprevidenza umana, nel caso configurabile come una vera e propria sfida alla natura. E di fronte alla sconfitta emergono in maniera spietata le evidenti responsabilità umane e l’impotenza delle stesse nazioni di fronte al disastro.
La Comunità Internazionale si è fermata, in attesa di capire cosa fare. Alcuni Stati hanno provveduto ad annullare i propri programmi di produzione energetica da fonte nucleare, altri, tra cui l’Italia, hanno adottato una moratoria, che significa sostanzialmente una pausa di riflessione, per valutare tutte le conseguenze dello sviluppo dell’energia nucleare, dopo i disastri di grandissima rilevanza, verificatisi negli ultimi trent’anni: centrale elettronucleare di Three Mile Island – Harrisburg – Pennsylvania – USA (2 reattori – potenza MWe 1700 -); Cernobyl – Ucraina (4 reattori – potenza 4GWe -); ed ora Fukushima – Okuma – Futaba – Giappone (6 reattori nucleari – potenza 4700 MWe).
Anche su questa partita occorrerà ascoltare la lezione che viene dalla storia, e riflettere sulle nefaste conseguenze che essa arreca all’umanità, al fine di non tradire l’uomo e la natura.
La questione energetica, dunque, ed in essa la ricerca e lo sviluppo delle fonti energetiche più rispettose della vita dell’uomo e della natura, si ripropone come una questione centrale per la vita della Terra ed il progresso dei popoli che la abitano. Questo significa che – essendo l’energia il motore che muove l’economia e la storia dei popoli – sia che la consideriamo scelta strategica per lo sviluppo del sistema economico globale che per assicurare il progredire della vita dell’uomo verso nuovi traguardi di civiltà, su scala planetaria – le scelte dei singoli Stati e dell’intera Comunità Internazionale saranno responsabili oggi, per assicurare in futuro all’umanità un’epoca di pace, di libertà e di civiltà. Con questo alto senso di responsabilità i governanti della terra dovranno riflettere, anche quelli della nostra “piccola Italia”, per rivelarsi all’altezza della sfida che la storia della terra dei primi mesi dell’anno 2011 ci ha fatto vivere in diretta, raccontandola all’umanità intera. Una sfida che chiede ci si faccia carico del futuro della terra, e dentro di esso, della inarrestabile crescita demografica e, dunque, delle nuove generazioni.
La lezione che viene dai fatti richiede, quindi, di dare voce e garantire risorse al servizio di un tempo nuovo, un tempo capace di risparmiare all’uomo tragedie di questa portata. Il giusto e condiviso governo della partita energetica da parte della Comunità Internazionale è uno strumento prezioso per assicurare al pianeta pace,
libertà e progresso. Sia questa la stella polare dell’agire politico, la rinnovata speranza per i popoli della terra.

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