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La manovra finanziaria varata dal Governo col Decreto legge n. 98/2011, richiesta dall’Unione Europea per pervenire al pareggio di bilancio nell’anno 2014, è stata convertita in legge, con modificazioni ed è divenuta legge dello Stato: Legge 211 del 16 luglio 2011. Essa prevede una riduzione del deficit di bilancio per oltre 70 miliardi
di Euro, suddivisi tra il 2011 ed il 2014. Abbiamo, così, evitato il default?
Cerchiamo di capire come stanno le cose e di non farci illusioni. Il traguardo indicato dall’Unione è uguale per tutti, ma ciascuno “va col proprio sacco al mulino”.
L’Italia, per esempio:
• sa di avere il debito pubblico più grande di tutti i partner dell’Unione e, dunque, deve tenere conto che se crescono i tassi di interesse, cresce l’ammontare degli interessi a debito da corrispondere ai creditori;
• sa che se non cresce il PIL, sarà necessaria altra manovra correttiva per ottenere i risultati programmati;
• sa che l’ISTAT, proprio il 15 luglio 2011, ha pubblicato il Rapporto sulla povertà delle famiglie italiane, dal quale risulta che:
– l’11,0% delle famiglie è relativamente povero e il 4,6% lo è in termini assoluti;
– la povertà relativa aumenta tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), tra quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall’11,8% al 14,1%);
– la condizione delle famiglie con membri aggregati peggiora anche rispetto alla povertà assoluta (dal 6,6% al 10,4%);
– nel Mezzogiorno l’incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori;
– la povertà relativa aumenta tra le famiglie con persona di riferimento lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8% al 5,6%), a seguito del peggioramento osservato nel Mezzogiorno (dal 14,3% al 19,2% e dal 10,7% al 13,9% rispettivamente), dove l’aumento più marcato si rileva per i lavoratori in proprio (dal 18,8% al 23,6%);
– tra le famiglie con persona di riferimento diplomata o laureata aumenta anche la povertà assoluta (dall’1,7% al 2,1%).
Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Calabria (26,0%), Sicilia (27,0%) e Basilicata (28,3%).

A conoscenza di questo quadro di riferimento, ci si sarebbe aspettati che la manovra varata dal Governo:
a. evitasse i tagli lineari e sposasse il valore dell’equità, insomma che, proprio come recita la Carta Costituzionale, ciascuno fosse chiamato a contribuire in ragione del proprio reddito;
b. che venissero, quindi, esentate dalla partecipazione ai sacrifici le famiglie a rischio di indigenza;
c. che venissero tassate le rendite ed incentivati i consumi delle famiglie e gli investimenti delle piccole e medie imprese, per stimolare la crescita del prodotto interno lordo (pil);
d. che venissero incentivati gli investimenti pubblici e privati nei settori strategici (Università, Ricerca, Innovazione, Energie alternative);
e. che venissero richiesti, a tempo determinato, sacrifici a manager pubblici e privati;
f. che si mettesse mano ad un serio progetto di produzione e lavoro nel Mezzogiorno, per onorare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, atteso che nel tempo trascorso da allora i risultati del dualismo Nord-Sud sono sotto gli occhi di tutti: il Mezzogiorno d’Italia povero era e povero è rimasto mentre la sua storia ha fatto registrare la continua emigrazione delle proprie risorse umane, a vantaggio delle aree forti del Paese e dell’Europa.
La manovra va da tutt’altra parte. Essa, quantitativamente potrà soddisfare, per il momento, l’Unione Europea che, giustamente, attese le difficoltà generali, ha richiesto agli Stati membri di realizzare il pareggio dei rispettivi bilanci entro il 2014, ma qualitativamente, essa, non v’è dubbio che contenga una serie di iniquità, che sacrifica famiglie bisognose, imprese, lavoro ed Enti Locali, aspettando Godot.
Nei sessanta e passa anni di vita democratica e repubblicana non si era mai assistito a scelte tanto sommarie e sperequate in danno delle categorie sociali maggiormente esposte. Nelle segrete stanze dei palazzi romani, senza consultare nessuno, né forze politiche, né forze sociali, né Autonomie locali, in pochi intimi, con la sola calcolatrice in mano, hanno creduto di essere all’altezza di “salvare l’Italia” dal default ed assicurarle un futuro. Basta scorrere le oltre cento e passa pagine della Legge n. 211/2011 per farsene l’idea Noi non pensiamo che questa sia la strada giusta; sicuramente non è la strada maestra che indica la Carta Costituzionale, orroborata da ben altri valori: quelli della partecipazione responsabile, della solidarietà e della giustizia sociale, anzitutto. C’è di che preoccuparsi, perciò, per la piega che ha preso la situazione del Paese, che oggi risulta grave e bloccata sulla stagnazione e l’inerzia politica.
Potremmo anche sbagliarci, e per il bene del Paese possiamo anche augurarcelo, ma se il Paese non è governato, si renderà necessario lavorare in prospettiva per un governo di unità nazionale in grado di guidare con autorevolezza l’uscita dalla grave crisi economico-sociale, testimoniata dalla pesantezza della manovra, chiamando a raccolta l’intera comunità nazionale.
Nella condizione attuale, la manovra può essere servita a scongiurare il default, ma il domani, bisogna esserne consapevoli, resta una incognita destinata a creare allarme e panico, oggi nelle famiglie, domani nelle imprese, domani l’altro nell’intera società civile. I segnali che vengono dall’esterno del Palazzo e che i cittadini democraticamente propongono all’attenzione generale, sono abbastanza eloquenti; coglierli, ed agire di conseguenza per tempo, è un dovere costituzionale e politico, oltre che una precisa responsabilità, che compete all’intera classe dirigente di questo Paese.

la Redazione

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