L’hanno scritto in maniera indelebile i padri fondatori della giovane democrazia italiana, convinti che solo per questa via era possibile ricostruire il Paese, dopo vent’anni di dittatura e dopo le distruzioni patite nel corso della seconda guerra mondiale.
Non si tratta, dunque, di una novità, né di voglia di ritorno al passato, ma di una verità che non necessita di controprove; una verità intimamente collegata alla natura e struttura economico-sociale del nostro Paese. Una realtà che risulta ancora più evidente se considerata a valle della grave crisi che, ai giorni nostri registra l’intera Europa, manifestamente caratterizzata da un decennio e più di mancata crescita civile, economica e sociale.
Proviamo a farcene una ragione non di parte ma oggettiva, evitando di azionare il tentativo strumentale di generare contrapposizioni, funzionali agli schieramenti politici di appartenenza.
Gli oltre 60 anni di pace del pianeta, senza guerre mondiali intendo dire, hanno consentito a molti Paesi, oltre che al nostro, di fare considerevoli passi in avanti sul terreno dello sviluppo economico-sociale, rendendo possibile ad un crescente numero di “paesi c.d. emergenti” di proporsi sulla scena mondiale per la loro capacità di svilupparsi e progredire, fondando il loro successo sulla quantità e qualità di risorse naturali presenti nei loro territori. Ma non tutti i paesi sviluppati possono fare affidamento su cospicue risorse naturali.
Sviluppo, crescita, progresso, sono intimamente legati alla migliore combinazione dei fattori produttivi: risorse naturali, capitale, lavoro, che spetta alla politica combinare e valorizzare, implementandoli, per conseguire gli obiettivi prefissati e massimizzare i risultati sperati.
Il miracolo economico italiano degli anni 1950-60 e 70 è l’esperienza più significativa di progresso e crescita dell’intero Paese, vissuta dall’Italia repubblicana e ad essa possiamo, quindi, riandare per capire e cogliere meglio il ruolo fondamentale che in quel processo hanno avuto le virtù italiche. Esso è stato generato partendo dalle rovine della seconda guerra mondiale, proprio dalla consistente immissione nel processo produttivo di dosi massicce di capitale (il Piano Marshall degli USA, che stimolò i Paesi Europei ad utilizzare gli aiuti non per fronteggiare le emergenze postbelliche, quanto per avviare processi di trasformazione strutturale delle loro economie) e di lavoro (la laboriosità e l’ingegno del popolo italiano), che hanno consentito, pur in carenza di risorse naturali, un significativo processo di sviluppo industriale, fondato sulla capacità di trasformare le materie prime importate in prodotti finiti, esportati poi, in Europa e nel mondo.
La rilevante produzione di valore aggiunto, in quel trentennio, ha consentito al nostro Paese di crescere al suo interno e di affermarsi in Europa ed in giro per il mondo, arrivando con i suoi prodotti esportati in ogni dove, fino a raggiungere le frotte di emigrati italiani che avevano lasciato il Paese dopo la prima e la seconda guerra mondiale.
L’elevato valore aggiunto della produzione industriale italiana ha procurato nuova disponibilità di capitali da reinvestire nel processo produttivo ed un consistente risparmio privato, che ha consentito all’Italia di diventare il 7° paese più sviluppato della terra.
Alla fine di quegli anni la condizione di benessere del popolo italiano dimostrò in modo inequivocabile il contestuale alto valore sociale del lavoro che raggiunse misure da primato.
Questo prestigioso traguardo, tuttavia, piuttosto che stimolare l’intero “sistema Italia” verso maggiori conquiste di civiltà e benessere sorrette da virtuose pratiche fondate sul lavoro, ha sortito l’effetto che produssero, in epoca antica, gli “ozi di Capua” sull’esercito di Annibale, quando tentò la conquista di Roma, miseramente fallita.
Il seguito della storia fu l’inizio di un lungo periodo di decadenza e di crisi economica e sociale che ha portato progressivamente il Paese ad essere, oggi, il fanalino di coda tra i Paesi europei; un Paese bloccato, incapace di crescere e di stare al passo con le più progredite economie e società della terra, con un debito pubblico alle soglie dei duemila miliardi, divenendo così lo Stato più indebitato dell’area €uro.
E’ tempo, allora, se c’è veramente voglia di misurarsi con le pesanti difficoltà della crisi, accentuate nelle scorse settimane dal tragico evento sismico che ha colpito l’Emilia Romagna, di riportare al centro dell’attenzione della politica e delle classi dirigenti dell’intero Paese il “fattore lavoro” nelle sue diverse forme ed in ogni settore delle attività umane (l’arte, la cultura, il sapere, la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica, lo sviluppo dell’economia e la salvaguardia della socialità), dichiarando guerra alla imperante corruzione, alla scellerata evasione fiscale, ai privilegi ingiustificati ed agli enormi sprechi visibili ad ogni livello istituzionale, restituendo, così, al Paese l’orgoglio antico e consentendogli di mostrare, in ogni campo, l’ingegno e le virtù del popolo italiano, smarriti per strada in troppi comparti della società. Non tutto è perduto se è vero che tanta parte del popolo italiano dimostra ancora il suo spiccato senso di responsabilità a fronte dei sacrifici che gli vengono richiesti dal Governo in carica per evitare il fallimento del Paese; se resta in piedi un forte senso di solidarietà che entra in azione nel corso di devastanti calamità naturali o di sollecitazioni che vengono dalla società in favore della ricerca scientifica rivolta alla migliore tutela della salute; se è vero che il “made in Italy”, ancora nell’era della globalizzazione, è riuscito e riesce ad avere successo, portando in giro per il mondo i prodotti ed il buon nome dell’Italia.
La risorsa umana, quella giovanile soprattutto, ed il sapere, dunque, sono i fattori su cui dobbiamo puntare in maniera massiccia, sistematica e crescente, per vincere la scommessa del futuro, senza impazienze e pretese miracolistiche che non hanno ragione di essere, consapevoli che non sarà possibile recuperare in breve tempo il malfatto ed il malgovernato in diversi decenni della storia italiana, ma ugualmente e fermamente determinati a vincere questa ennesima sfida che si prospetta al Paese ed all’Europa. Questa è la strada maestra, questa è la strada descritta nella mirabile Costituzione italiana. Solo percorrendola con passione e determinazione, senza farsi distrarre da fuochi fatui e giochi di prestigio, che affastellano tuttora la società civile ed il sistema democratico, potremo farci perdonare dalle nuove generazioni, che abbiamo tradito nelle più segrete speranze esistenziali, solo così potremo farci perdonare per aver accumulato sulle loro spalle una così pesante ipoteca.
La strada virtuosa, lo sappiamo, è cosparsa di ostacoli, di sacrifici, di inciampi, di difficoltà e resistenze a volte insuperabili, ma noi dobbiamo avvertire per intero e senza sconti tutta la responsabilità di dover adempiere a questo dovere. Proprio per questo, per quanto arduo possa sembrare il cammino, noi dovremo percorrerlo con tenacia, per tornare ad essere in Europa e nel mondo un Paese faro di civiltà e benessere, all’altezza delle migliori tradizioni della nostra storia.