Ci siamo lasciati il 6 dicembre 2011 – in occasione dell’Assemblea precedente – con l’inizio dell’attività del Governo dei tecnici, presieduto dal Prof. Mario Monti, succeduto, come sappiamo, al Governo politico del Presidente Berlusconi – con l’opinione prevalente che l’Italia era impegnata a scongiurare il fallimento e con esso il rischio di mettere in crisi la tenuta dell’Euro.
Proviamo a ripartire da lì per cercare di capire come quella opinione prevalente si è evoluta, a che punto siamo e, se possibile, guardando avanti, provare ad immaginare quale futuro si prospetta per l’Italia e per l’Eurozona.
Abbiamo seguito con vera sofferenza l’azione di governo, sostenuta con decrescente convinzione dalle forze politiche che hanno consentito la sua nascita, mirata a salvare il salvabile, con la speranza, una volta fatti i compiti a casa propria, di convincere l’Europa a cambiare politica; in particolare convincere il Direttorio Merkel – Sarkozy a coniugare, seppure gradualmente, la ferrea azione di pareggio dei bilanci pubblici, con una politica mirata alla crescita economica, per non gettare a mare “assieme all’acqua sporca, anche il bambino”. In quei giorni l’obiettivo principale della speculazione internazionale, per indebolire euro ed eurozona era la Grecia, col rischio che a ruota toccasse all’Italia. I provvedimenti presi nell’immediato dal Governo Monti hanno avuto l’effetto di allontanare momentaneamente l’Italia dal pericolo default e con esso il rischio del contagio. Ma a quale prezzo?
Fra gli italiani, segnatamente fra la stragrande maggioranza di essi, quella costituita dalle parti più deboli economicamente e socialmente (parliamo di categorie protette, di lavoratori, di famiglie e piccole imprese), quella che avverte e paga di più le conseguenze dell’aumento della pressione fiscale e della diminuzione del potere di acquisto di retribuzioni e salari, si fa strada, ora, il dubbio che il peggio debba ancora arrivare, dopo avere creduto che i sacrifici richiesti sarebbero stati sufficienti a scongiurarlo.
E si fa strada il dubbio che essendo imminente ormai la scadenza della legislatura e, dunque, l’arrivo delle elezioni politiche generali e subito dopo la scadenza del mandato del Presidente della Repubblica, alle questioni gravi aperte, squisitamente finanziarie, economiche e sociali, si aggiungeranno quelle più propriamente politiche, generando nel Paese una pericolosa situazione di vuoto politico, destinata ad incidere negativamente sulla condizione in atto.
 Un futuro incerto, insomma, senza la presenza di concreti, visibili e stabili punti di riferimento. Questo clima non è immaginario od una artificiosa costruzione, si tratta di una realtà potenziale che ormai si va facendo strada, avvalorata da sondaggi di opinione sul futuro della politica, condotti da Agenzie specializzate, che si incaricano di segnalare la crisi dei partiti tradizionali e dell’intero sistema dell’offerta politica, un deficit di rappresentanza che crea vuoti da colmare o, addirittura, già in avanzata fase di occupazione.

Certo non si può dare nulla per scontato, ma si ha la sensazione che sia in atto un processo di profonda ristrutturazione del tradizionale sistema politico. Niente di pericoloso per la democrazia se questo processo assumesse connotati visibili e si proponesse concretamente in forme democraticamente organizzate, anzi, ne trarrebbe linfa la stessa democrazia. Il problema su cui riflettere, perciò, è di capire se i movimenti che si propongono sulla scena della rappresentanza politica si organizzano nel rispetto della Carta Costituzionale o se, invece, viene proposto, semplicemente, di affidare la rappresentanza nelle sedi elettive a cittadini che forse sappiamo da dove vengono ma non dove vogliono andare; insomma, che non conosciamo ancora ed ai quali, per questo, dovremmo avere non poche remore prima di affidare loro il futuro del nostro Paese. La politica che ama definirsi ed essere il più generoso ed elevato servizio di carità, non può né essere né divenire mai una responsabilità da affidare a chi non conosciamo, come non pensiamo di poterla affidare a chi utilizza in maniera strumentale la giusta protesta dei cittadini nascente dall’accentuarsi delle difficoltà economiche e sociali per alimentare l’antipolitica tout court, in un momento di grandissima difficoltà del paese, il più difficile dall’avvento della Repubblica, nel quale è estremamente problematico pensare e costruire, col richiesto e ponderoso senso di responsabilità necessari, il futuro delle nuove generazioni.
Non si tratta, è vero, di scenari definiti, né in Europa, né a livello nazionale.
In Europa, le scadenze elettorali sono appena iniziate e sappiamo che la stabilità degli orientamenti è precaria in queste stagioni. Si é votato in Francia, dove nelle elezioni presidenziali hanno vinto i socialisti – sancendo la fine dell’era Sarkozy. Il neo Presidente Francois Holland, proprio in questi giorni, sta per completare la sua vittoria con un successo socialista alle elezioni politiche, che potrebbe addirittura assegnargli la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Un segnale di novità per l’Eurozona che non tarderà, così si spera, a manifestare i suoi benefici effetti sulla governance dell’Unione Europea.
Domenica si voterà in Grecia, con la speranza che il voto non conforti le aspettative di chi preconizza l’uscita dall’€uro, che acuirebbe, immediatamente, la già pesante crisi di quel Paese e dell’Eurozona.
Nel 2013 sarà il turno dell’Italia, della Germania e degli Stati Uniti d’America e non è poco.
Ma la pesante crisi economico-finanziaria che ha investito l’intero pianeta non potrà aspettare queste scadenze, ancorché siano, ormai, di breve periodo.
La gravità della crisi bussa ogni giorno alle porte dei governanti e chiede interventi, azioni decisive per oggi e domani, risposte che consentano di pilotare l’avvio del rientro dalla crisi, prima che i suoi nefasti effetti provochino danni irreparabili ed irreversibili; essa chiede, insomma, una risposta senza tentennamenti, in particolare da parte dell’Unione Europea, per mettere in sicurezza l’€uro. L’intero pianeta vive l’attesa di un’azione energica capace di spegnere il devastante incendio scoppiato inizialmente a causa dei fallimenti a catena negli USA generati dal perverso uso dei mutui-sub-prime e successivamente alimentato in Europa dalla pesante crisi originata dall’esplosione dei “debiti sovrani” di alcuni Stati dell’Eurozona (Irlanda, Portogallo, Grecia).
Venendo ai nostri giorni, abbiamo ricordato prima come il 6 Dicembre 2011 ci eravamo lasciati con l’Italia a rischio default per contagio dalla Grecia e con la Spagna in migliore posizione rispetto al nostro Paese, ma soltanto perché reduce fresca di elezioni politiche generali e, dunque, con un Governo stabile, in grado per esplicito mandato popolare, di prendere tempestivamente le opportune decisioni per scongiurare la crisi, causata, in questo caso, dall’esplosione della bolla immobiliare (“il ballo del mattone”), causa prima del fallimento di alcune Banche spagnole.
Ebbene, la gravità della situazione di Italia e Spagna si è invertita rispetto a quei giorni. I provvedimenti assunti dal Governo Monti ed approvati dal Parlamento hanno consentito all’Italia di allontanarsi dal fallimento, mentre la situazione finanziaria della Spagna è precipitata, costringendo il Governo di quel Paese a chiedere formalmente aiuto all’Unione Europea che, tempestivamente, e siamo alla storia di questi giorni, ha deciso di intervenire con un prestito fino a 100 miliardi di €uro.
Il presente, tuttavia, non è affatto tranquillizzante né per l’Italia né per l’€eurozona, anzi.
Se si lascia ancora correre la roulette della speculazione, come se il pianeta fosse un Casinò, il prossimo Paese a fallire e ad essere costretto a richiedere l’intervento dell’Unione, sarebbe l’Italia, già presa di mira dai “mercati”, ed in maniera abbastanza evidente e pesante, proprio alcuni giorni fa, esattamente l’11 e 12 giugno. E’ successo in soli due giorni, infatti, all’apertura dei mercati dopo l’annuncio della concessione dell’intervento di 100 miliardi alla Spagna, che mentre le Borse del pianeta hanno festeggiato l’intervento europeo, l’unica Borsa che ha patito una pesante perdita è stata quella italiana, subito presa di mira da massicce vendite.
Questi fatti sono l’amara conferma che esiste un grande problema nella governance dell’Eurozona e che questa sorta di impotenza mascherata da una piccola decisione oggi e da una analoga piccola decisione domani, in attesa che si stabilizzino i Governi con le elezioni, condanna l’Europa ed influenza negativamente il futuro del pianeta.
I più grandi opinionisti e commentatori della vita politica avvertono che di questo passo, presto potrebbe arrivare il rompete le righe ed il “si salvi chi può”, cioè, piuttosto che iniziare il rientro, la crisi potrebbe esplodere travolgendo i c.d. Stati periferici dell’€uro, tra questi, ahimè, anche l’Italia.
Il presente che stiamo cercando di descrivere, dunque, è gravido di incognite e di imminenti pericoli, uno dei quali, forse il più importante, accanto a quello economico-finanziario, è costituito dai rischi che corre la democrazia.
Ce n’è quanto basta ed ancora di più, allora, per essere preoccupati e sostenere, seppure nel nostro piccolo, la estrema urgenza che la politica ritrovi la strada maestra ed una idea-progetto di futuro, per assolvere al suo decisivo ruolo per governare la crisi.
Non possiamo lasciare ai mercati il ruolo di guidare la terra. La filosofia che li anima somiglia molto alla vita della giungla dove regna la logica di chi è predatore e di chi é preda. Il genere umano ha altri modelli cui ispirare la visione della propria esistenza e deve fare in fretta ad applicarli.
L’Italia ha il suo modello, apprezzato ed ammirato nel mondo civile, costituito dai principi e valori riportati nella Carta Costituzionale e farà bene ad ispirare ad essi la ricerca del suo futuro.
L’Europa voluta dai padri costituenti tarda ad andare avanti verso il traguardo mirabilmente disegnato; a volte essa sembra proprio attardarsi volutamente, mettendo a rischio il raggiungimento della meta sospirata: l’Unione Politica.
Osservando attentamente il suo cammino e lo stadio raggiunto, c’è motivo di dubitare che si voglia arrivare alla Unione Politica. Si ha la sensazione, a volte, avvalorata dall’andamento dello spread tra BTP italiani e Bund tedeschi, più in generale al sistema dello spread che, come risaputo, fotografa chi sta meglio e chi sta peggio tra gli Stati dell’Unione, che nell’Europa che stiamo costruendo chi è ricco può solo diventare più ricco e chi è indietro è condannato a restare indietro, poiché, nei fatti, è negato uno dei valori fondanti dell’Unione: la solidarietà tra popoli e Stati appartenenti alla nuova Patria comune.
Una analisi più attenta e profonda sul cammino del marco e dell’€uro, sul processo di unificazione della Germania e sui relativi costi per l’Unione Europea, potrebbe anche dimostrare che la solidarietà non è stata negata sia quando si è trattato di ricostruire l’Europa dalle rovine della seconda guerra mondiale, sia quando si è reso necessario aiutare la Germania per la sua unificazione, che, infine, nel corso della crisi nel 1993, quando venne consentito a Francia e Germania di allentare temporaneamente i vincoli del Trattato di Maastricht. Questa solidarietà, però, è venuta meno quando si è trattato di accelerare il processo dell’unità politica e mettere mano al riequilibrio dello sviluppo economico sociale tra la mittel Europa ed i Paesi periferici dell’Unione (proprio di quei Paesi che stanno ora pagando, messi in fila uno dopo l’altro, sicuramente il peso delle loro irresponsabilità, ma anche la pilotata fermata del processo di unificazione).
E’ grave, dunque, la situazione, ma non tutto è ancora perduto e, forse, è giunto il momento di alzare la voce. Non per mettere in crisi il processo dell’Unione Politica, ma per ottenere le garanzie che dopo i sacrifici richiesti si raddrizzerà e si accelererà il cammino dell’Unione Politica.
Già la riunione del 28 e 29 Giugno del Consiglio Europeo potrebbe essere una buona occasione per puntare i piedi e dire con decisione e coraggio che, se a conclusione dei lavori non emergeranno efficaci decisioni che uniscano alla giusta fase di correzione delle politiche di Bilancio tempestive ed efficaci politiche mirate alla crescita dell’intera euro-zona, con la sottoscrizione a breve di un vero e proprio “Patto per la crescita” l’Italia si riserva di riflettere, con grande senso di responsabilità, sulle finalità e le conseguenze per il Paese dell’accordo sul fiscal compact. Il dibattito in Parlamento di queste ore è sembrato orientato nella giusta direzione.
L’estrema difficoltà del momento impone chiarezza nell’agire politico di ciascuno Stato e fermezza nel difendere l’obiettivo comune che si vuole perseguire. Se l’obiettivo è composto da decisioni concrete per assicurare all’Eurozona stabilità, crescita ed occupazione, ora devono venire le scelte comuni su crescita ed occupazione. Se queste non interverranno, l’Italia dovrà esaminare la opportunità di differire sia la ratifica da parte del Parlamento italiano dell’accordo sul fiscal compact, come anche la introduzione nella Costituzione della regola del pareggio di Bilancio. Questi accordi comportano cessioni di sovranità, ma la giusta rinuncia a pezzi di sovranità – motivata dalla volontà di favorire e velocizzare l’integrazione europea, avendo fatto i compiti a casa ed avendo chiesto agli italiani grandissimi sacrifici per poter corrispondere all’impegno del pareggio di bilancio entro il 2013 – non può non avere una contropartita positiva. Non si tratta né di chiedere privilegi, né di conseguire obiettivi egoistici, ma di perseguire con fermezza risultati positivi sul cammino necessario per conseguire l’Unione politica. Non siamo specialisti al punto da indicare soluzioni, ma la passione, la responsabilità, la preoccupazione, con cui seguiamo ogni giorno l’evolversi della crisi ci stimolano a dire quello che pensiamo.
L’Italia ha ripreso a fare, col sacrificio dei suoi cittadini, la sua parte in Europa; l’Europa, tutta l’Eurozona, non può non fare la sua parte per difendere strenuamente la moneta unica: l’€uro, non commettendo l’errore di pensare che la moneta unica si possa difendere dalla scatenata speculazione internazionale, soltanto col conseguimento del pareggio di Bilancio.
Occorre ben altro, occorre esserne consapevoli e bisogna agire, fare in fretta ed essere tremendamente concreti.
Ci vuole “più Europa e più integrazione per essere più competitivi e per continuare a contare in un mondo tripolare nel XXI secolo” (USA – EUROPA – CINA), ma ci vuole anche, non bisogna mai dimenticarlo, più onestà e lealtà della politica e più solidarietà tra gli Stati per la maggiore integrazione dei rispettivi popoli.
Occorre che chi deve intendere intenda. Fermi non si può restare perché la dimensione della crisi non lo consente. Se non si può andare avanti diviene fatale il ritorno indietro. Il popolo italiano questo non lo vuole e continua a farlo sapere. Ma l’Italia, in assenza dimostrata di solidarietà dentro l’Unione, non potrà starsene con le mani in mano.

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