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Il Senato della Repubblica ha approvato con largo margine un progetto di legge che riguarda la materia che porta il nome di federalismo fiscale.
Si tratta di una riforma molto importante e destinata a fare discutere non poco, perché gli sponsor di questo progetto non hanno ancora declinato le loro vere intenzioni, apparse, tuttavia, esplicite già nel corso della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento.
La nostra Associazione segue questa problematica con qualche preoccupazione, ma tende a ragionare ed a valutare i pro ed i contro di questa riforma,il significato che essa può assumere,anche a vantaggio delle Regioni che sin qui l’hanno esplicitamente contestata, per il timore che essa finisca con l’ubbidire agli intendimenti della Lega Nord, che più delle altre forze politiche la patrocina.

La segue con attenzione anche il Coordinamento Nazionale delle Associazioni di Consiglieri ed ex Consiglieri Regionali d’Italia che, su proposta del suo Presidente, ha deciso di costituire un apposito Gruppo di lavoro che prepari una iniziativa pubblica per partecipare al dibattito che si svolge nel paese.
Ma quali sono i veri problemi che stanno dentro questo contenitore?
Vediamo di sceverarne qualcuno e di esprimere qualche opinione che aiuti a capire e qualche proposta che aiuti a migliorare quello che si sta facendo, convinti che sia più producente misurarsi col problema per migliorarne i contenuti,che demonizzarlo ed alla fine doverne subire le tragiche conseguenze. Un approccio, insomma, di natura pragmatica rivolto all’efficienza, non ideologica.
Il primo problema che occorre ben inquadrare riguarda la necessità ineludibile di produrre un progetto di riforma che nell’ambito della P.A. migliori la governance e, dunque, contribuisca ad elevare l’efficacia e l’efficienza dei diversi livelli decisionali, eliminando i consistenti sprechi, i duplicati ed i gradini inutili. Sotto questo aspetto, non c’è alcun dubbio,che sia necessario armarsi di forbici e semplificare i processi decisionali, accorciando, anzitutto,la catena dei livelli a cui le decisioni sono demandate per legge (la questione dei poteri e delle competenze).
Stato – Regioni – Province – Comunità Montane – Unioni di Comuni – Città metropolitane e Comuni – sette livelli di competenza sono tanti, sono troppi,necessitano di una severa sforbiciata,stando attenti alla proposta che, se presuppone modifiche di carattere costituzionale, è più complessa e difficile di quella che eventualmente non le comporta.
C’è necessità di semplificazionee riordino, che la legge quadro nazionale è opportuno indichi,formulando una direttiva unitaria dentro la quale il disegno di riforma, da attuare a livello regionale, possa trovare una guide-line.
C’è poi la questione del finanziamento dell’operazione che è grande quanto il mare.Distinguiamo due parti del problema. Il sistema in vigore di trasferimento delle risorse statali alle Autonomie Locali e quello futuro.
Occorre, anzitutto, chiarire chi, quando e come ha potestà impositiva, perché la scelta, se non è oculata e misurata rischia di fare molto male e di essere anticostituzionale.
La capacità impositiva deve essere concessa alle Autonomie locali per provvedere con risorse proprie alla soddisfazione di bisogni locali di natura secondaria (facciamo un caso per rendere l’idea: lo svago, il divertimento, l’effimero, chi lo vuole se lo paga), ma non può comprendere i bisogni primari della persona e della famiglia (lavoro, scuola, casa, sanità,sicurezza, difesa, sicurezza sociale, grandi reti, infrastrutture,trasporti), che hanno una forte protezione generale nella Carta Costituzionale e che non possono patire diminutio per via di evidenti difficoltà a trovare rispondenza a livello locale a causa della carenza organica di risorse.
La questione centrale, dunque,aldilà delle tante cose scritte nel progetto approvato dal Senato e che viene ora affidato alla Camera dei Deputati, riguarda: la quantità delle risorse che vengono trasferite alle Autonomie locali per fare fronte ai bisogni dei cittadini.
Proviamo a sintetizzare la questione. Il criterio di riparto delle risorse fino ad ora seguito è stato quello della c.d. “spesa storica” che, secondo il testo approvato,dovrebbe essere sostituito dal c.d. criterio della “spesa standard”.
Parole, il bello verrà se e quando e semmai, le parole diventeranno cifre, perché non sono le parole ma i numeri che consentono a tutti di misurare la realtà e di capire cosa potrà accadere.
La spesa storica (a partire dai Decreti Stammati, convertiti in legge nel 1977 e nel 1978) sappiamo cosa ha generato: ha premiato le Autonomie che hanno saputo realizzare servizi indebitandosi, mentre ha penalizzato pesantemente e per tanto tempo coloro (in grandissima prevalenza il Meridione d’Italia) che o non ha voluto (volendo apparire parsimonioso) o non ha saputo correre il rischio di indebitarsi.
Vedremo quali spese riguarderà la spesa standard e quale criterio si seguirà per la sua determinazione.
Vedremo anche e soprattutto quanto tempo occorrerà per passare dal vecchio (spesa storica) al nuovo criterio (spesa
standard) di trasferimento alle Autonomie Locali delle risorse.
Intanto ne vogliamo discutere ed ospiteremo su questa Agenzia i contributi di quanti, colleghi,studiosi, manager, responsabili politici, vorranno aiutarci a capire, perché non si perpetri ancora una volta un danno per le popolazioni con più ridotta capacità di produrre reddito.Con un avvertimento generale: non siamo per nulla convinti
che la classe dirigente del Mezzogiorno d’Italia abbia operato virtuosamente e che è tempo di opporsi alle ingiustizie anche mettendo ordine in casa propria,per combattere con efficacia il tentativo di coloro che pensano di trasferire altrove le risorse che l’Unione Europea destina, in attuazione delle sue politiche di coesione sociale, alle Regioni dell’obiettivo 1.

 

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