opinionicalabria.jpg
nome_editoriale.png

 
Nei precedenti numeri della nostra Agenzia è stato dato rilievo a quel che accade nella sponda sud del Mediterraneo – Africa e Asia minore – dove è evidente che la storia si è messa a correre ed il vento della libertà sta travolgendo dittature che apparivano eterne. L’operazione è tuttora in corso, anche se il prezzo in termini di vite umane risulta altissimo in Libia ed ancora di più in Siria.
In questo numero rifletteremo sulla vita del Bel Paese che ci propone due accadimenti importanti, rappresentati
da consultazioni elettorali significative: la tornata elettorale amministrativa che ha fatto registrare la partecipazione al voto di oltre 10 milioni di cittadini ed i “referendum”, con oltre 25 milioni di elettori votanti, i cui risultati indicano nuove direttrici di marcia per conquistare e governare il futuro, sia che
esso riguardi la sfera della politica, che quella dell’economia.
Il primo dei dati da considerare, tuttavia, non è il merito delle questioni, che pure hanno rilevante senso e significato, ma la dimensione della partecipazione civica.
Il referendum popolare, uno strumento principe della democrazia, che sembrava essere divenuto “inutile”, dopo ripetute esperienze vanificate dal mancato raggiungimento del “quorum”, ha fatto registrare una partecipazione al voto elevata e diffusa, sancendo la validità della consultazione per tutti e quattro i quesiti referendari.
La forte partecipazione popolare al voto, nella quale risulta prevalente l’interesse per i problemi e la sua possibile soluzione, rispetto al voto per eleggere un candidato ad una carica pubblica, è di per sé elemento rigeneratore della democrazia e fa ben sperare per il futuro. Se nell’anno in cui celebriamo il 150°
Anniversario dell’unità d’Italia ed in ogni manifestazione celebrativa cantiamo assieme “fratelli d’Italia, l’Italia si è desta…” i cittadini chiamati al voto per dire si o no, si recano alle urne per decidere essi la soluzione del problema sottoposto alla loro valutazione, e viene raggiunto e superato di slancio il “quorum”
necessario per la validità della consultazione, c’è qualche ragione seria per sperare che veramente “l’Italia s’è desta”.La speranza deriva dal fatto che hanno vinto “loro”, i cittadini che sono andati a votare, e dunque, gli altri, tutti gli altri, devono darsi una regolata.

Lo deve fare chi ha perso, dai membri del Governo ai politici di rango che volutamente hanno dichiarato la loro astensione, invitando i cittadini ad imitarli. Non sono andati a votare anche semplici cittadini distratti, scettici, increduli, che hanno dimenticato l’importanza del voto per il buon funzionamento della democrazia. E, invece, occorre ribadire che la democrazia è un sistema fondato sulla regola “una testa un voto”, indipendentemente
se sei abile o diversamente abile o se sei un semplice cittadino o il Presidente della Repubblica. Chi si astiene,
in ogni caso, concorre col suo atteggiamento ad indebolire la democrazia, una conquista fortemente voluta dal popolo italiano dopo la caduta del fascismo, sancita definitivamente nella Carta Costituzionale della Repubblica Italiana.
Ma tra coloro che “devono darsi una regolata”non ci sono solo i perdenti, ci sono anche buona parte dei “vincitori” del referendum. Il pensiero corre alle forze politiche, naturalmente a quelle che a favore del referendum si sono battute. Se ai cittadini spetta il diritto-dovere di votare in libertà, secondo le convinzioni che maturano, ad esse, a tutte le forze politiche, spetta il compito di organizzare la partecipazione responsabile alla vita democratica. Non è una petizione o un desiderio, è un imperativo che trova la sua genesi nella Costituzione (art.
49 – Tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale).
Ed i Partiti, per come vivono, non dimostrano affatto di dedicare l’attenzione dovuta a questo aspetto decisivo per la vita del Paese. Nella maggior parte dei casi essi hanno annullato lo spirito associativo autentico (i soci
sono elenchi costruiti a tavolino, non persone che partecipano a dibattiti, che vivono i problemi, che si informano, che assumono iniziative, che partecipano, insomma, in maniera attiva alla vita democratica), è ignorata la democrazia interna che educa alla “ vita democratica”, si procede per “nomine dall’alto”. Appena qualche settimana fa è stato “nominato” persino il Segretario Nazionale di una grande forza politica. La comunicazione è
ad una via (ti dico io come stanno le cose e cosa devi fare, tu ascolta; io non ho bisogno di ascoltarti, i sondaggi mi dicono tutto ed io, chiuso nella torre d’avorio, non ho bisogno di incontrarti per conoscerti). Sono sempre più rare le scuole di formazione socio-politica, quelle che preparano le nuove generazioni ad essere classe dirigente ed all’esercizio della responsabilità.
E, invece, è pacifico che la classe dirigente del Paese non è la risultante né della rottamazione tout-court, né dell’improvvisazione, ma della formazione se ci riferiamo alle nuove generazioni e dell’esperienza, del vissuto, se riferita ai meno giovani, da assemblare in felice ed operativa sintesi. E la politica, quella con la P maiuscola non nasce dal nulla o dal rampantismo, o dalle “cricche” che organizzano gli affari o dal bieco potere
economico che piega la società al suo interesse egoistico, ma dalla consapevolezza del progetto di società e di futuro che si fa strada nella coscienza dei cittadini, illuminati dalla Carta Costituzionale e dai valori che in essa sono sapientemente codificati,in attesa soltanto di essere vissuti con consapevolezza e responsabilità. A questo indispensabile progetto, che trova la sua genesi nella mirabile Costituzione italiana, che affida alla
legge il compito di aggiornarlo nel tempo futuro, l’Italia dovrà fare riferimento se vuole tornare ad essere esempio per gli altri popoli, come lo è stata nel tempo della ricostruzione, dopo la seconda guerra mondiale e dignitoso, attivo e propositivo partner nei consessi internazionali nei quali siede con pieno diritto,
per meriti acquisiti e per ragioni storiche. Anche le “primarie”, strumento di partecipazione attiva dei cittadini alla scelta dei candidati alle cariche pubbliche, saggiamente regolamentate e non considerate strumento di esercizio della supremazia a servizio, dunque, del potere (“le faccio se mi conviene e come mi conviene”), sono una pratica da incentivare per consentire al cittadino elettore la partecipazione attiva alla vita politica e,
come recita la Costituzione “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Servirà la lezione? Si presterà migliore e maggiore ascolto alla domanda di partecipazione responsabile che viene dalla società civile e dalla cittadinanza attiva, organizzata e sostenuta per dare fondamenta serie alla democrazia? L’intero sistema democratico è chiamato a riflettere, in special modo i Partiti cui i cittadini conferiscono la maggiore rappresentatività.
Forse è venuto il tempo di ascoltare i cittadini nelle Assemblee, guardandoli negli occhi, in ogni dove, per apprendere alla fonte i bisogni, le sofferenze, le istanze, le aspettative, le speranze.
Non ci sono strumenti capaci di surrogare la ricchezza del contatto umano, per restituire dignità al rapporto elettore/eletto,socio del Partito/Dirigente.
Come è urgente cambiare la legge elettorale che ha sostituito i “nominati” agli “eletti” dai cittadini, ripristinando subito il voto di preferenza, perché siano i cittadini a scegliere i parlamentari, non i Segretari di Partito.
A questo proposito, poiché non sembra ci sia molta voglia o molta convinzione sulla necessità di modificare in senso democratico la legge elettorale in vigore e sono ormai alle porte le elezioni generali per il rinnovo del Parlamento, l’idea di un referendum abrogativo della “nomina” potrebbe fare al caso, perché costringerebbe
il Parlamento a legiferare.
Quanto al merito delle decisioni referendarie, che riguardano settori fondamentali della vita del Paese, il plebiscito registrato comporterà nuovi impegni per il governo. In particolare:
• La bocciatura dell’energia nucleare richiederà la formulazione di un Piano energetico nazionale che sulla base delle previsioni di sviluppo a vent’anni, assicuri all’Italia la qualità e quantità di energia più economica e sicura al suo fabbisogno, fermo restando il dovere di proseguire senza pause e senza rallentamenti le attività nel settore della ricerca;
• Sull’acqua, bene pubblico per eccellenza, si tratta di mettere mano ad una politica seria che, sulla base di piani pluriennali, sia in grado di produrre interventi strutturali, diretti a migliorare la sua captazione, la sua adduzione e la sua distribuzione, a costi competitivi;
• Quanto ai diritti e doveri dei cittadini, essi sono uguali per tutti, senza eccezioni: così recita la Costituzione, così hanno confermato i cittadini.
Nella storia dei popoli, a fasi di decadenza si alternano quelle della rinascita. Se è vero che la storia ha ripreso a correre e l’Italia s’è desta, è tempo di riorganizzare, promuovere e sostenere con convinzione, la partecipazione responsabile dei cittadini, soprattutto dei giovani, alla vita politica,. Non c’è
tempo da perdere: tutti sono stati avvertiti. Non comprenderlo e non attivarsi potrebbe significare che non è stato avvertito il pericolo maggiore per la democrazia: il qualunquismo. Ma questo vorrebbe dire che non abbiamo compreso la lezione e che, quindi, chi ha responsabilità è bene che lasci il passo a chi è in grado di dare senso a questo passaggio di fase: tutti possiamo essere utili ma nessuno è indispensabile. E’ così in Italia; è così, a maggior ragione, per la Calabria.

scarica in formato pdf